Fette di limone caramellate


Per gli amanti del tè al limone questa può essere l’idea in più da aggiungere alla pausa  delle 5. Mi è venuta in mente inaugurando il servizio da tè regalatomi dalla mia Amica di una vita Annamaria. Ci siamo conosciute quando avevamo pochi mesi di vita; purtroppo non ci ricordiamo niente di quel giorno, of corse, ma pare sia stato memorabile. Volevo dare importanza a questo tè in nostro onore e allora ho pensato alla fetta del limone come ad un piccolo gioiello allegro da mettere a contrasto con l’austerità della bevanda in questione, amarognola e scura.


Le dosi  permettono di preparare venti-venticinque fette che possono essere conservate in frigorifero e usate nell’arco di un paio di settimane, immerse nella tazza di tè o anche sgranocchiate da sole.
 
2 limoni biologici, 8 cucchiai di zucchero: tagliare i limoni a fette sottili e disporli su una teglia larga, allineati su carta da forno. Ricoprire ogni fetta con metà dello zucchero e mettere in forno a 80-100 gradi finché lo zucchero si sarà totalmente sciolto formando un caramello trasparente (ci vorrà almeno un’ora). Verificare che le fettine siano abbastanza secche, cioè abbiano perso buona parte dell’acqua in esse contenuta. Girarle sull’altro lato e ripetere l’operazione ricoprendo nuovamente con il restante zucchero. Mettere nuovamente in forno e attendere la caramellizzazione.
Sfornare e lasciare asciugare. Il caramello si seccherà formando una copertura dolce e croccante.

 
Conservazione: preparare dei piccoli rettangoli di carta da forno. Spolverare ogni fetta con ulteriore zucchero, semolato o a velo, e metterla nella carta. Riporre le fette in un contenitore chiuso in frigorifero.
Oltre a zuccherare moderatamente il tè, l’aroma di limone sprigionato è molto intenso e profumato perché vengono esaltati gli oli essenziali contenuti nella scorza del limone.

Non vedo l’ora di farle assaggiare ad Annamaria. Ovviamente insieme a dei fantastici biscotti....

Qualche numero dell'agroalimentare

Non è un post allegro questo, ma mi sembrava necessario.

Uno dei documenti più interessanti che mi sia capitato di leggere nell’ultimo periodo a proposito del binomio ambiente- alimentazione è il “Primo rapporto sullo stato del paesaggio alimentare italiano” presentato dal Corpo Forestale dello Stato. Lo avrei pubblicato sulle prime pagine di tutti i quotidiani on-line e non.

Cito testualmente:

“Questione alimentare, ambientale ed energetica sono strettamente interconnesse. Se si considera che circa il 70% del territorio italiano è caratterizzato da un’orografia collinare o montuosa, più fragile e sensibile da un punto di vista geomorfologico e idrogeologico, si può facilmente comprendere perché i due binomi “agricoltura-alimentazione” e “territorio-ambiente” siano temi strategici dell’agenda nazionale dei decisori. Mantenere sul territorio quelle produzioni agricole contraddistintive della filiera agroalimentare di eccellenza del Made in Italy, capaci inoltre di generare alte remunerazioni in termini economici, elevati redditi per gli agricoltori, costituisce un’azione prioritaria ai fini della valorizzazione e della difesa dei valori ambientali e dei servizi indotti sul territorio.”
  
 “È cresciuta la distanza fisica, tecnologica e tipologica fra i luoghi di produzione e di utilizzazione dei prodotti, è aumentata l’originalità degli alimenti, è mutata la distribuzione del prodotto, si è allungata la filiera dei prodotti e si è sviluppato il fenomeno delle sofisticazioni alimentari, vere e proprie frodi alimentari perpetrate ai danni del consumatore vittima di danni di natura economica e igienico-sanitaria.”


 E’ di oggi la notizia che nella pasta ripiena Buitoni  (Nestlé) siano state trovate percentuali di carne equina al posto di quella bovina dichiarata in etichetta [un attimo di pausa per urlare e andiamo avanti]. Per cui la tracciabilità della filiera alimentare è fondamentale, così come i controlli. Ma anche l’informazione verso i consumatori. Quanti di noi sanno “leggere” un codice a barre? Se ne ricavano informazioni interessanti, per esempio sulla nazione di provenienza dell’alimento.

 
Continuo a citare perché qui viene il bello:

“L’Italia, in questo nuovo scenario, si presenta come un paese ricco e per questo vulnerabile a livellointernazionale: con le sue 242 Denominazioni Riconosciute è al primo posto della graduatoria comunitaria dei prodotti tipici e possiede oltre il 22% dell’intera fetta di mercato europeo. Secondo le stime elaborate nel Rapporto Agromafie realizzato dall’Eurispes, infatti, il settore agroalimentare è al secondo posto in termini di fatturato, dopo quello metalmeccanico e riveste un ruolo determinante in ambito comunitario contribuendo per il 13% alla produzione agricola totale dell’Europa. La quota di export agroalimentare italiano sul commercio mondiale si attesta da diversi anni ad una cifra superiore al 3,5%, l’esportazione dei prodotti tipici vale circa 24 miliardi di euro sulla bilancia dei pagamenti del nostro Paese.”



 
Ma ci pensate!!! Abbiamo una miniera d’oro e non sappiamo sfruttarla [altra pausa per urlare].


“L’enogastronomia italiana è quindi un tratto distintivo dello stile italiano, uno dei fattori di successo e diidentificazione del Made in Italy: per questo i prodotti dei cibo italiano sono spesso oggetto di sofisticazionialimentari.

Secondo le stime del Corpo forestale dello Stato, i pirati agroalimentari ogni anno sottraggono all’Italia 60 miliardi di euro di valore di cibo contraffatto e spacciato nel mondo come Italian sounding.”


 
Spesso si parla di ecomafie, ma  che dire delle agromafie?
 
Sulla base del giro di affari complessivo della criminalità organizzata stimato dall’Eurispes in 220
miliardi di euro, quello dell’Agromafia viene calcolato pari a 12,5 miliardi di euro, equivalenti al 5,6% del totale, di cui 3,7 miliardi di euro da reinvestimenti in attività lecite e 8,8 miliardi di euro da attività illecite”.
 
Il testo si commenta da solo. Buona spesa a tutti.


Per saperne di più:
www.eurispes.it



Il Pan di Spagna


 "Sai separare i tuorli dagli albumi?"
Quante cose si possono fare con il pan di Spagna!!??.E’ una pietra miliare della pasticceria e per fortuna è una preparazione semplice che si può riassumere nella formula: 1 uovo – 25 gr. di farina- 25 gr. di zucchero.
Mi ricordo la prima lezione del corso di pasticceria frequentato ormai 9 anni fa. Già lavoravo da un po’ come cuoca e mi occupavo anche dei dolci, quindi ero ansiosa di migliorare e approfondire le mie conoscenze in materia. Mi ero inserita in un corso iniziato; erano alla terza lezione, sulle masse montate, tra cui c’è il pan di Spagna. Mi unisco ad un gruppetto di donne e offro il mio aiuto. Sembravano piuttosto a loro agio ed esperte. Non mi filano granché. Ma anche io dovevo fare qualcosa. Una mi dice: “C’ è da sistemare le uova. Sai separare i tuorli dagli albumi?”.  Stavo per ruggire ma ho optato per un più civile: “ Ci provo…” accompagnato da aria perplessa. Poi è andato tutto bene e alla fine siamo anche uscite insieme a festeggiare.
Insomma , la cosa più difficile del Pan di Spagna è separare i tuorli dagli albumi.

 
Dosi per 1 torta di 26 cm di lato

180 gr. di zucchero, 7 tuorli: unire i due ingredienti, metterli a bagnomaria e iniziare a montare; dopo due-3 minuti continuare a montare fuori dal calore fino a quando la massa sarà schiarita, gonfia e lo zucchero sia completamente sciolto (non si devono sentire i granelli toccando la crema). E’ importante scaldare all’inizio il composto perché ciò aiuta ad incorporare aria, quindi a montare la massa. Questo permetterà al pan di Spagna di gonfiarsi maggiormente in cottura.

7 albumi: montare a neve fermissima. Unire ai tuorli e zucchero montati, un cucchiaio alla volta, amalgamando delicatamente con una spatola. L’obiettivo e di non far smontare il composto e mantenerlo bello gonfio.

180 gr. di farina + 30 gr. di fecola, vaniglia (1 bustina):  unire con un staccio alla massa montata, poca farina per volta, continuando ad amalgamare molto delicatamente dal basso verso l’alto. Non far durare troppo il processo, meno lo si lavora e meglio è.

Versare  in una teglia imburrata (non infarinata) del diametro di 22 cm circa e mettere in forno preriscaldato a 170-175 °C per 25 minuti circa. Il tempo è come sempre indicativo. Il pan di Spagna è pronto quando è ben dorato e completamente staccato dai bordi della teglia. Lasciar raffreddare e poi sformare. E’ normale che appena fatto abbia un aroma di uovo. La consistenza della pasta deve essere spugnosa ed elastica. Questo gli consente di essere lavorato, tagliato e farcito senza spaccarsi, come potrebbe succedere ad altri tipi di torte più soffici.


Sua maestà il cinghiale



Lezione n° 52
-Non sono a favore della caccia e non caccerei mai.
-E allora che fai, ti mangi  le bestie che uccidono gli altri, i cacciatori?
-Beh, se una certa quantità di capi devono essere soppressi per l’equilibrio dell’ecosistema in cui vivono, che altrimenti andrebbe a carte quarantotto, magari mandando in rovina famiglie di contadini, ecc. ecc., mi mangio quella bestia soppressa.  Almeno non è morta inutilmente.
(la discussione prosegue a lungo).
Non entro nella diatriba. Però sono una che mangia la carne, pochissima e possibilmente di qualità.
E così, quando il nostro amico - nonché vigile del fuoco instancabile - ci ha detto: “ Questo cinghiale è per voi! Lo sapete cucinare???” , ho pensato: “Vuoi che una contadinozza ruspante come me si fermi davanti a un tocco di cinghiale?” e mi sono messa all’opera.
 
Signore e signori, sua Maestà il cinghiale.

Le informazioni principali per non sbagliare (neanche la prima volta!)
-Riguardo ai tagli di carne, in linea di massima le regole sono le medesime che valgono per il maiale.: carrè e costolette possono andare arrosto, il resto in umido.
-La carne deve essere frollata, cioè lasciata “riposare” in frigorifero più giorni prima di cucinarla, tanto più a lungo quanto più adulto è il cinghiale.
-La carne deve marinare. La marinatura è via via più lunga e importante con l’aumentare dell’età dell’animale, la cui carne avrà un aroma sempre più forte. Si va da un minimo di 12 ore per un cinghialetto fino a 48 ore per un cinghiale adulto. La marinatura con vino rosso e aromi (sedano, carota, cipolla, alloro, ginepro, aglio, pepe) può essere preceduta da una marinatura in acqua e aceto (12- 24 ore).
-E’ considerata carne nera, quindi i pezzi in padella vengono cotti al sangue.
-La ricetta più nota dall’antichità è il cinghiale in agrodolce. Ne esistono molte versioni simili. Ne cito una tratta da antichi ricettari del Rinascimento fiorentino raccolti nel volume “A tavola con il re” (AA.VV. Ed. Polistampa 1999, Firenze). I pezzi di cinghiale (vari tagli) dopo la marinatura vengono cotti in aceto e mosto di vino che formano un caramello; la cottura è portata avanti con l’aggiunta di vino rosso, poi si aggiungono datteri snocciolati, prugne e visciole secche, nonché cipolle cotte sotto la brace. Una ricetta a misura delle cucine di una volta……Altrettanto interessante è la ricetta di "polpa di cinghiale in dolce-forte" riportata da A. Zanfi nel libro "Maremma in pentola" (1998, Ed. Alsaba)

La ricetta che ho preparato qui è la  scottiglia di cinghiale alla maremmana  
(scottiglia significa umido di carni miste).


Dosi per 5-6 persone

1,2 Kg di pezzi di cinghiale misto adulto (petto, spalla, pezzi di coscia) 2 bicchieri di aceto di vino bianco, 1 lt di vino rosso corposo, 1 cipolla grande, 1 costa di sedano, 1 carota, 2 foglie di alloro, 2 spicchi d’aglio, 3 bacche di ginepro, qualche chicco di pepe in grani, 2 rametti di rosmarino, qualche rametto di timo fresco: tagliare il cinghiale in pezzi di 3 - 4 cm di lato. Lasciare coperto in acqua e aceto (2 bicchieri di aceto in una pentola d’acqua) per 24 ore circa in frigorifero. Passare alla marinatura con 1 lt di vino e il resto degli ingredienti per circa 12 ore.

4-5 cucchiai d’olio evo (extravergine d’oliva), 1 peperoncino, 1 lt di brodo di carne o vegetale: preparare un battuto con sedano, carota, cipolla, aglio, timo della marinatura e 1 peperoncino piccante; far andare il soffritto per un buon quarto d’ora a fuoco basso. Aggiungere i pezzi di cinghiale e far rosolare a fuoco vivo per 5-10 minuti. Aggiungere 1-2 mestoli di brodo, abbassare il fuoco al minimo e coprire, lasciando cuocere per 2 ore. Aggiungere un po’ di brodo di tanto in tanto se tende ad asciugarsi.

500 g di pomodoro in pezzi, 2 bicchieri di vino rosso (io non uso quello della marinatura, a volte assume un sapore troppo deciso): aggiungere il pomodoro, far raggiungere di nuovo il bollore; abbassare al minimo la fiamma e lasciar cuocere per 1 ora, girando di tanto in tanto. Aggiungere il vino, girare e lasciar cuocere ancora mezz’ora.
A prescindere dai tempi dati ( validi per il cinghiale adulto), controllare sempre con uno stecco o la forchetta la tenerezza della carne. La cottura dipende sempre dall’età dell’animale quindi può variare di volta in volta.

Servire con fette di pane abbrustolite.





Cosa vuol dire Gourmandia


 Ho scelto di rappresentare me stessa con la parola “gourmandia”. La lettera “M” è una gigantesca forchetta: la porta maestosa per entrare nella città dove il senso del gusto e il cibo hanno un grande valore. Io chiudo gli occhi e immagino di oltrepassare quella porta. Cosa trovo?
 Cento anni fa avrei trovato il buongustaio raffinato, la persona che trae gioia e piacere dal cibo. Cento anni fa poteva essere colui che aveva accesso ad ogni genere di prelibatezza in modo illimitato, così come suggerisce l'etimologia della parola, "gourmet". Oggi trovo la persona consapevole, quella che in cucina cerca di far dialogare scienza, conoscenza e arte affinché il cibo sia un fatto autentico. E ciò ha una componente etica e politica forte. Il punto non credo sia scegliere fra naturale e artificiale, perché allora anche un aratro  trainato dai buoi (così bucolico ai nostri occhi) è un artificio della tecnica. Si tratta di mettere in comunicazione laboratori scientifici, industria dell’agroalimentare e terra-che-genera in un dialogo fruttuoso. Esempio tra molti: se una percentuale alta di alimenti confezionati contiene olio di palma, dovrò chiedermi cosa comporta (in termini di terra destinata alla produzione delle palme e di caratteristiche bio-chimiche del prodotto finale) un sempre più elevato utilizzo di questa pianta.Quale compromesso si può raggiungere per immettere sul mercato un alimento che non danneggi l’ecosistema dal quale proviene o la salute di chi ne fa uso?
Pensavo questo, ieri, mentre mi aggiravo per gli scaffali di uno dei tanti supermercati: cercavo appunto di raggiungere quel compromesso tra ciò che so essere rispettoso per l’ambiente (inclusa me e la mia salute) e la soddisfazione del palato e delle esigenze/aspettative di una persona che vive nel terzo millennio.
Non è facile vivere a Gourmandia, ma è molto bello.

Continuo a guarare:
greenpeace.org
slowfood.it
nextnature.net
© Gourmandia

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