Ciambellone cioccolato e cocco




Un abbinamento che non lascia indifferenti: cioccolato e cocco. Ho assaggiato questo dolce dalla mitica Amanda, come sapete la musa ispiratrice di tante delle ricette contenute in questo blog. Lei a sua volta lo ha preso “in prestito” dalla sua amica vicina di casa, la quale lo avrà imparato da qualche parente, e via così. Magari poi si scopre che su internet spopola il ciambellone ciocco-cocco (così ribattezzato). Non so. Il fatto è che se Amanda decide di rifarlo vuol dire che ne vale la pena. Per questo io assaggio e senza pensarci molto, registro la ricetta.

Tortini di zucca, coppa e taleggio


Quando le bambine giocano, le mamme pure. Voglio dire, possono dedicarsi ai loro passatempi preferiti. Non so perché ma i tortini sono un classico svuotacervello-mirilasso. Così, qualche giorno fa, complice la dolce amichetta di mia figlia venuta a studiare da noi, ho fatto a fette quella zucca che sperava forse di farla franca. E mentre la pasta e fagioli sobolliva facendo il suo lavoro e rimandando un profumo rassicurante, io frullavo, tagliavo e assemblavo.

E il pancake rotolò via.






“No, no.
No, no, no.
I’m too fast, you’re too slow.
Pan, pan, patty-cake pan,
I can get away from you, I can!”

C’ era una volta una famiglia con sette bambini, sempre affamati. Un giorno la mamma decise di preparare per la colazione i dei bei pancake. Unì la farina con le uova e il latte; poi, versò un po’ del composto in una padella per cuocerlo. Fece saltare il primo pancake in aria per girarlo e cuocerlo anche dall’ altro lato. Ma il pancake non aveva alcuna intenzione di essere … mangiato. Così saltò giù dalla padella e scappò rotolando fuori dalla porta di casa.”

- Ehi, torna indietro! -  gridavano i bambini."
 Continua….

Nella famosa storia “The runaway pancake” , la dispettosa focaccia che non voleva essere mangiata da nassuno e si vantava di essere “too fast”, finisce in bocca ad un furbo maialino.
Nel mio caso per fortuna nessuna frittella è volata sul soffitto o fuori dalla finestra, ma tanti piccoli pancake sono stati diligentemente impilati e arricchiti con sciroppo d’acero (come vuole la tradizione anglosassone) o crema di cioccolata, secondo le abitudini nostrane.
I pancake di questa ricetta hanno la caratteristica di essere piuttosto soffici e sono piccoli, ma proprio piccolini: 10 cm di diametro. Vi insegno un modo per farli se non avete una padellina di dimensioni così ridotte. Basta avere un coppapasta.
La quantità variabile dello zucchero dipende dall’utilizzo del pancake, perché sono ottimi anche accompagnati da ingredienti salati, come formaggi, salumi e salse.

Ingredienti per 8 mini - pancake

65 gr. di farina, 15 gr. di burro, 1 uovo, 100 ml di latte, 4 gr. di lievito per dolci, 5-10 gr. di zucchero, un pizzico di sale: unite il lievito alla farina e miscelarli insieme; fate una piccola fontana in una capace ciotola e inserite nel mezzo l’uovo, il burro sciolto (ma non caldo), il latte, lo zucchero e il sale. Amalgamate gli ingredienti con una frusta fino ad avere una pastella liscia e consistente.
Prendete un padellino antiaderente e fatelo scaldare a fuoco dolce. Passate la superficie con una velo di burro*. Prendete un coppapasta di metallo e ponetelo al centro del padellino. Versate due cucchiaiate di composto all’interno e lasciate cuocere fino a quando vedrete il composto addensarsi leggermente e gonfiarsi. Togliete la padella dal fuoco, staccate il pancake dai bordi del coppapasta con un coltello o uno stecchino. Giratelo sulla padella e rimettetelo sul fuoco per farlo dorare dal lato opposto. Togliete dal fuoco e lasciate su un piatto fino al momento di servire.
Cospargete con zucchero a velo e accompagnate con marmellata, sciroppo d’acero, miele, crema di cioccolata.




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Aspettando il Salone del Gusto: la Giornata mondiale dell'Alimentazione 2014



Locandina del Convegno e proiezioni sull'agicoltura familiare



Il 15 Ottobre 2014 è stata la Giornata mondiale dell’Alimentazione. Per celebrarla e in vista della conferenza Internazionale sulla nutrizione  e di Expo 2015, si è svolto a Roma il convegno “Il ruolo cruciale dell’agricoltura familiare: dal seme al cibo, nutrire il mondo preservando il pianeta”. L’agricoltura familiare sarà anche il tema al centro dell’imminente “Salone del gusto” e “Terra Madre” 2014, a Torino dal 24 al 27 Ottobre.

L'Aranciera di San Sisto a Roma

In un luogo tra i più suggestivi di Roma, l’ Aranciera di San Sisto, nei pressi delle Terme di Caracalla, sono stati molti gli intervenuti: il Segr. Gen. Del Centro di Alti Studi Agronomici del Mediterraneo, C. Lacirignola; il Dir. Gen. Organizzazione Internazionale di Diritto per lo Sviluppo , I.  Khan; il Vice Presidente dell' IFAD, Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo, M. Mordasini,; la coordinatrice del Global Land Programme Foodfirst Information and Action Network, S. Monsalve; il Pres. di Crocevia/Comitato Italiano per le Agricolture contadine e l’Anno internazionale per l’Agricoltura famigliare, A. Onorati; il Vice Dir. Esec. del Programma alimentare mondiale delle nazioni Unite, A. Abdullah; il Senior Adv. on Strategic Partnership and Global Initiatives di Biodiversity International, C. Seré.
La conclusione dei lavori è stata affidata a Carlo Petrini, presidente di Slow Food e José G. De Silva, Dir. Gen. Della FAO.

E vorrei parlare proprio dell’intervento di Petrini, che non smette di ribadire e credere che un’altra economia è possibile. L’economia agricola industriale, a differenza di quella familiare esistente da diecimila anni, ha dimostrato nel breve arco di tempo di tre secoli, di non essere all’altezza di un compito importante e decisivo come quello di sfamare il pianeta. Anzi, sta portando intere nazioni alla distruzione della propria sovranità alimentare. Il mondo della politica si riempie la bocca di parole come “sviluppo sostenibile” il cui significato pare chiaro solo a loro, i quali poi approvano  leggi che marciano nella direzione opposta ad un concreto aiuto al mondo dell’agricoltura. Basti pensare alle ultime proposte di riforma del governo italiano, in cui vergognosamente vengono stanziati solo 15 milioni di euro per la cooperazione internazionale. Dall’ agricoltura familiare si può ripartire ma a patto di approvare leggi che realmente tutelino gli agricoltori diretti , qui come nel resto del mondo.

Carlo Petrini (primo da sinistra) interviene al Convegno

Spesso i dati sono solo numeri vuoti, ma in alcuni casi ci aprono un universo nuovo. Uno fra questi è la percentuale di produzione agricola affidata ai contadini: in moltissimi paesi dall’Asia all’Africa, ma anche in Europa, la coltivazione affidata a piccolissime realtà familiari è la forma principale di produzione agricola. Non mangeremmo se queste realtà sparissero; voglio dire, non sono una moda o un lusso per nostalgici del cibo di una volta, come si pensa qui da noi in Italia a volte quando si parla, facendo anche molta confusione di termini e realtà diverse tra loro,  di cibo biologico, equo –solidale, di gruppi di acquisto diretto, ecc.
Altro dato estremamente importante: questa agricoltura familiare è in mano alle donne nella tragrande maggioranza dei casi. Sono sempre loro, antropologicamente da sempre al loro posto, che si prendono cura di nutrire. E non è un caso se al convegno di cui parlo erano quasi tutte donne quelle sedute ad ascoltare e a cercare di capire. Le donne custodiscono i semi della biodiversità . Li scambiano tra loro e nel corso dei millenni hanno fatto sì che migliaia di semi diversi non solo non andassero perduti, ma si adattassero naturalmente alle variazioni climatiche e ambientali, attraverso incroci  tentati  e via via modificati. Tanto da essere oggi dotati di una resilienza nettamente superiore rispetto alle sementi industriali standardizzate delle multinazionali, proprio perché tanto diversi, tutti diversi tra loro.
Ancora dati, sempre a proposito di semi: si stima che le specie coltivate  esistenti sul pianeta siano più di 700, ma solo circa 30 sono conservate a disposizione delle banche dati scientifiche, che possono studiarle. Come dire: un’immensa ricchezza, la biodiversità , i semi della terra, in mano ai più bistrattati e vessati di ogni continente, i contadini, gli stessi che faticosamente ogni giorno difendono se stessi da leggi inique e così facendo difendono la biodiversità della terra. 
Il sistema  industriale non funziona  e non è con qualche aggiustamento e rettifica qua e là che potremo renderlo vincente;  è necessario, come dice C. Petrini, “cambiare paradigma”.



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Peperoni ripieni di carne: casa dolce casa



Ultimi scampoli di estate, tra acquazzoni e improvvisi squarci di sole caldo, ci godiamo questo frutto ancora di stagione. In una ricetta che più “casalinga” non si può. Se penso alle mamme e alle nonne che apparecchiano la tavola per la domenica, accanto alle classiche fettuccine o lasagne, visualizzo una teglia bruciacchiata e consunta e all’interno verdure e frutti  “ripieni”: zucchine, pomodori, peperoni, melanzane…
Tra le numerose varietà di peperoni ho scelto il più accattivante: il piccolo  Topepo tondo, un ibrido di dimensioni ridotte (circa 10x10 centimetri), con polpa molto carnosa, particolarmente dolce. Oltre alla bellezza del formato monoporzione ,  si apprezza il fatto che la pelle, una volta cotto, sia quasi impercettibile al palato.

Cioccolata densa



L'estate che non è mai arrivata, quest'anno, se ne sta andando. Contraddizione in termini.
 Eh sì, a volte succede. Non fa caldo , non arriva il caldo. E tutti lo aspettiamo e diciamo che prima o poi arriverà, e invece niente. Poi all'improvviso, un freddo che non ti dico.
Allora apro il panettone "ubriaco" (quel panettone fantastico impevuto nel liquore, che a Capodanno non ho avuto il coraggio di mangiare, dopo le otto portate della cena di prassi) e preparo una cioccolata bella densa. una delizia da tuffare in un'altra delizia.
Stacco il cellulare. Non ci sono per nessuno.


Cornetti di pane





Questo non è un cornetto. È un pan-cornetto.  Perché ho preso il primo impasto che si prepara per fare le brioche e poi ho fatto la seconda lavorazione aggiungendo farina e margarina. Quindi, mancando zucchero e uova, di fatto si ha un pane.  Le caratteristiche: una crosta croccante e dorata all’esterno e una consistenza più burrosa e compatta all’interno. Trovo sia ottimo spaccato a metà e farcito all’interno, sia con cose dolci, sia con il salato. Come il pane, si mantiene per un paio di giorni inalterato, poi tende ad asciugarsi.

N.B.  ingredienti e dosi sono tratti dal Corso Professionale di Pasticceria della Scuola di cucina “A tavola con lo chef

Abbacchio alla cacciatora

Lezione n° 66 - La carne.


Se ti senti "abbacchiato", significa che stai giù, come si ti avessero bastonato. Dal termine latino "baculum"  e "ad baculum", cioè "vicino al bastone". Probabile che l'origine della parola "abbacchio" sia questa dal momento che l'agnello da latte era tenuto legato al bastone affinché non si allontanasse.



Un premio da Net-Parade.it

Un attestato per il mio blog da Net-parade.it, un motore di ricerca basato sulle classifiche che si occupa di raggruppare e far conoscere categorie di blog e siti.
Questo riconoscimento viene attribuito ai siti, blog o forum che essendo stati votati dal pubblico, sono riusciti a posizionarsi in classifica tra i primi 100 nella classifica generale o tra i primi 40 nella classifica per categoria.

Evviva!



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Clafoutis di ciliegie e albicocche alla verbena




Se parliamo di clafoutis, affidiamoci ai Francesi. Io ho scelto una ricetta del pluristellato Eric Fréchon, tratta dalla collana “Un chef dans ma cuisine”. Ad essere rigorosi, questo “dolce”, originario della regione di Limousin, si prepara con le ciliegie, nere e dolcissime, tuffate in una sorta di pastella a base di latte, zucchero e uova e chiuso in forno, da cui sprigionerà aromi incredibili. Ma se il suddetto chef ne ha prodotte 60 varianti, dolci e salate, mi fido…. Prendo quella alle albicocche e, per non dimenticare che siamo in pieno periodo di ciliegie e che sto facendo un clafoutis, ci tuffo anche le deliziose sfere color sangue. Il risultato è morbido, cremoso, umido al punto giusto, non troppo dolce, dagli aromi a contrasto.






Dosi per 8 stampini monoporzione

Per la farcitura
400 gr. di albicocche biologiche, 40 gr. di burro, 40 gr. di miele millefiori: sciogliere il burro e il miele in una padella antiaderente e fare un caramello biondo; aggiungere le albicocche tagliate a metà e private del nocciolo. Lasciarle caramellare per 5 minuti da entrambe le parti. Togliere dal fuoco
200 gr. di ciliegie: lavare accuratamente ed eliminare il picciolo, ma lasciarle intere.

Per l’impasto

1dl di latte, 3 rametti di verbena, un pezzetto di bacca di vaniglia (o 10 gr. di zucchero a velo vanigliato): far scaldare il latte, immergervi i rametti e la vaniglia e lasciare in infusione fino a raffreddamento. Poi, filtrare.
2 uova + 2 tuorli , 2 dl di panna liquida, 50 gr. di zucchero di canna finissimo, 30 gr. di maizena: unire le uova, la panna e il latte aromatizzato; aggiungere lo zucchero e la maizena e amalgamare il tutto accuratamente.

Per gli stampini

30 gr. di farina di mandorle, 20 gr. di burro: imburrare gli stampini e cospargere il fondo con abbondante farina di mandorle.
Adagiare una o due albicocche e alcune ciliegie sul fondo degli stampini. Ricoprire con l’impasto. Mettere in forno a 170°C per 35 minuti circa.

Nota: questa dose di zucchero darà un clafoutis non troppo dolce; eventualmente è possibile aumentare la dose senza compromettere il risultato finale. Nel dubbio che lo zucchero non si sciolga del tutto, è possibile unirlo al latte quando viene scaldato, invece che al momento di preparare l’impasto.


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