La ribollita Foto di Gourmandia Chef |
“La celeberrima ribollita,
emblema e vanto di molte trattorie fiorentine, non può essere considerata una
ricetta a sé stante. Nella sua versione originale altro non è che una zuppa di magro
avanzata e ribollita il giorno dopo”.
(1974,
P. Petroni – Il libro della vera
cucina fiorentina – Bonechi)
La
citazione di Paolo Petroni è un ottimo punto di partenza per celebrare oggi la
giornata nazionale della ribollita per il Calendario del cibo italiano dell'AIFB. Il
nome del piatto parla chiaro: più che ad un codificato insieme di ingredienti, ci
riferiamo ad un procedimento: l’atto di far ri-bollire una seconda
volta una zuppa preparata in anticipo.
Poiché si tratta di una minestra di magro, in essa troviamo delle verdure e dei fagioli, con l’aggiunta di pane.
Giovanni
Righi Parenti ci spiega come si fa e cosa non
deve essere aggiunto in essa, per nessun motivo:
“Il pane tagliato a fette spesse si
mette ora nella zuppiera e sopra, caldissima, lasceremo scolare la miscellanea
delle verdure cotte; vanno creati dei piani in modo che il pane abbia ad
inzupparsi completamente creando degli strati tra i vegetali cotti, quasi si
trattasse di una specie di torta ripiena...Va servita ancora tiepida, ottima
anche fredda e si condisce ancora con del buon olio di oliva crudo senza
aggiungervi altro: tutt'al più (al posto di quel formaggio che sarebbe delitto
mettervici) una tritata di cipolle o cipollotti che completeranno l'opera in
modo mirabile.”
(Giovanni
Righi Parenti, La cucina toscana in 800 ricette tradizionali, volume primo,
Newton & Compton editori, Roma, 2003).
Ho rintracciato due momenti storici distanti
nel tempo ma decisivi per comprendere la natura di questo piatto: la vita dei ceti benestanti a partire dal
Medioevo e le usanze contadine
fino a qualche decennio fa.
La storia della Toscana e, in particolar modo,
di Firenze, a partire dall’età comunale fino al crollo del Granducato, ci
fornisce l’affresco di una cucina ricca non solo di ingredienti ma anche di
ricette, molte delle quali oggi purtroppo introvabili. Dalle tavole imbandite
di nobili e signori venivano recuperati gli avanzi da aggiungere alla dieta dei
servitori; spesso i pani usati per
contenere le vivande servite, detti “mense”, erano riutilizzati per
arricchire zuppe e minestre. È inevitabile che il pane entrasse più per
necessità che per questioni di gusto, a far parte di numerose preparazioni.
Ancora oggi, pensando ai propri nonni, quanti di noi hanno viva l’immagine di
questo ingrediente onnipresente durante il pasto, ad accompagnare fedele
qualsiasi cibo, dalla minestra alla frutta!
La
vita nelle campagne, invece, ci racconta di come il venerdì fosse giorno di
magro, perché si rispettava il divieto
di mangiare carne. Dunque ci si arrangiava preparando grandi zuppe a base
di verdure e legumi. Le quali poi avanzavano fino al sabato e alla domenica.
Venivano ribollite, con l’aggiunta del pane, anch’esso rimanenza (il pane
veniva cotto nei forni comuni generalmente una volta a settimana): ottimo
esempio di riutilizzo degli avanzi, concetto a noi oggi caro.
Il pane sciapo Foto di Le Petit Gateau |
Fonti
manoscritte e di stampa risalenti al Cinquecento attestano l’esistenza già ben
codificata della minestra fatta con il cavolo nero e il pane. La ricetta di Giovanni
Del Turco, musicista e cultore di gastronomia presso la corte di Cosimo II de’
Medici sembra tratta dai ricettari
contemporanei, se non fosse per la diversità della lingua:
“Prendi due o tre cipolle grosse e nettale
dalla prima scorza et così intere mettetele in una pignatta d’aqqua che non sia
piena affatto, acciò poi vi si possa mettere il cavolo et in quella pignatta
metti come si è detto le cipolle, olio et sale e lasciale cuocere bene et una
ora avanti desinare vi metterai a cuocere il cavolo et poi si mandi in tavola
con fette di pane sotto. […]”
(AA.VV.,
1999 – “A tavola con il re” Ed. Polistampa).
Il
breve excursus può concludersi accennando che anche l’Artusi (1974, “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”,
Bemporad Marzocco, Firenze) ci fornisce la sua versione di ribollita,
chiamandola però “minestra di cavolo”. La storia contemporanea, invece, ci
parla di una preparazione quasi chic, da ceti benestanti. Basti pensare che la
troviamo nel noto “Il cucchiaio
d’argento” già riportata come ricetta tipica di un passato che non ci
appartiene più e perciò degna di nota.
Quella che segue è la mia versione, una ricetta di
famiglia. Possiamo collocarla geograficamente nella zona compresa tra Siena e
Firenze. La preparazione riassume e racchiude quanto contenuto nei testi
citati. Sebbene esistano molte varianti di ribollita, a seconda delle
diverse aree della Toscana, esse sono tutte “vere”. Si mantengono costanti
alcuni ingredienti (la cipolla, il cavolo nero, i fagioli e il pane “sciocco”,
cioè sciapo o senza sale) e il fatto che la zuppa venga sempre ri-bollita.
Ingredienti per 6-8 persone
1 costa di sedano, 1 cipolla grande, 3 carote medie, 3 patate medie, 3
zucchine, 150 g di verza, 150 g di bieta , 150 g di cavolo nero, 250 g di
fagioli cannellini, 150 g di pomodori in pezzi (o passata di pomodoro), sale,
pepe, 3 cucchiai d’olio d’oliva toscano: tagliate a pezzetti di mezzo cm di
lato il sedano, una carota e la cipolla e mettete a soffriggere con l’olio in una
pentola capace e alta. Pulite le verdure a foglia (nel caso del cavolo nero
eliminate completamente la costa centrale) e affettatele grossolanamente;
tagliate il resto degli ingredienti in pezzi di 1 cm di lato circa. Unite tutto
nella pentola con il soffritto. Aggiungete 1,5 litri d’acqua, il
pomodoro, il sale e il pepe. Portate a bollore e lasciate cuocere per 30 minuti
circa a fuoco dolce. A fine cottura aggiungete i fagioli precedentemente cotti
a parte. Potete utilizzare un poco della loro acqua di cottura per la minestra.
600 g di pane senza sale di qualche giorno, olio extra vergine d’oliva
toscano, cipolla rossa: tagliate il pane a fette, dividete le fette a metà. Sistematele sul fondo
di un tegame largo e basso (meglio sarebbe in un coccio). Ricopritele con
mestoli di minestra bollente. Non necessariamente dovrete usarla tutta: ci deve
essere una proporzione più o meno equivalente tra pane e verdure. Attendete che
il pane si sia imbevuto e ammollato e mettetela sul fuoco vivace, girando per
far rompere il pane e amalgamando tutti gli ingredienti tra loro. Condite con
l’olio toscano e asciate riposare.
Al momento di servire, rimettete una seconda volta sul fuoco la ribollita,
rigirandola ancora. Lasciate che si attacchi un poco sul fondo del tegame e
formi una leggera crosticina: sarà più saporita. Se volete potete servirla con
sottili fette di cipolla di guarnizione.
La ribollita Foto di Gourmandia Chef |